Biomarcatori: la parola all’esperto

I biomarcatori sono segnali del corpo che aiutano i medici a capire se siamo a rischio di una malattia, a diagnosticarla precocemente e a verificare se una cura sta funzionando. L’OMS definisce biomarcatore qualsiasi sostanza, struttura o processo misurabile nel corpo o nei suoi prodotti che può influenzare o prevedere l'incidenza degli outcomes o di malattie. Può essere usato per diagnosticare, monitorare l’evoluzione di una malattia e l’efficacia di un trattamento o predire il rischio di insorgenza di patologie.
Gualtiero Colombo, Responsabile dell’Unità di Ricerca Immunologia e genomica funzionale presso il Centro Cardiologico Monzino, Milano ce ne spiega funzionamento e limiti in ambito cardiovascolare.
“Al momento, comunque, su alcuni biomarkers circolanti non disponiamo ancora di dati solidi”, precisa “Ad esempio, la troponina è un marcatore fantastico per porre diagnosi di infarto miocardico. La troponina, però, va considerata un marcatore di danno al cuore che può essere causato da diverse situazioni cliniche: una miocardite, uno scompenso cardiaco o un’embolia polmonare. La differenza sta nel fatto che nell’infarto miocardico i valori di troponina sono molto alti mentre nella malattia ischemica cronica con angina si muove molto poco. La troponina, però, può non essere sufficiente a identificare la malattia all’origine del danno cardiaco, cioè non è specifica per la malattia. Lo stesso discorso vale per i peptidi natriuretici che si usano per la diagnosi e la prognosi dell’insufficienza cardiaca: non sono specifici per questa malattia”.
La sfida adesso è risalire alla causa attraverso approcci –omici (proteomica, genomica, metabolomica) per capire cosa ha causato in una specifica malattia il rilascio della troponina che segnala un danno al cuore. “Approfondendo questi aspetti in futuro potremo pensare anche di utilizzare i fattori –omici per la prevenzione”, rileva Colombo.